Il titolo è "Racconti di luna"
[legge]
Questo racconto tocca alcune cellule sensibili della nostra esistenza e
interiorità, può essere interpretato in vari modi. Vorrei usare una delle
frasi del testo: "quella chiesa era proprio come il professore: statica, senza
sfumature, sicura di sè, fredda, grigia". La chiesa che vivo, quella a cui
appartengo, è una chiesa che spesso si presenta senza sfumature, statica,
grigia, senz'anima. Nei secoli scorsi, ma anche nell'ultimo, c'è sempre stata
una separazione tra chiesa e mondo; poi, con il Concilio Vaticano II, nel
documento "Gaudium et spes" si parla della chiesa nel mondo. Essa deve fare
ciò che ha fatto Dio con l'incarnazione e ancora non ha il coraggio di farlo.
Deve diventare da potente debole, da ricca povera, da piena di certezze a
luogo di dubbi e domande; deve spostare il baricentro del suo pensiero: nella
chiesa non si trova Dio, che sta in quel tempio sacro che è ogni essere umano.
Questo deve dire la nostra chiesa con i suoi segni e simboli; invece, la
nostra è una chiesa pesante, con un'identità forte, troppo forte.
Della missione si aveva un concetto e una logica detta "plantatio ecclesiae":
si vive in un posto e si mette dentro ad esso una realtà svincolata dal
contesto, dalla cultura, dalla storia, dai volti e si impone un messaggio; la
chiesa ha una tracotante verità di cui si sente così sicura che si sente in
diritto di imporla. Dobbiamo uscire da questa logica e cambiare questo
meccanismo mentale che spesso avvolge anche quelli che si dicono più aperti e
critici rispetto a chiesa e religioni. La chiesa dev'essere capace di vivere
non separata dal mondo, ma dentro le situazioni; deve vivere portando un
messaggio grandissimo, quello del Vangelo, senza la
pretesa di portare l'altro a sè, ma nella speranza di poter diventare compagna
di strada nella sua vita. Un grande filosofo, Camus, esistenzialista, dice:
"Non camminarmi davanti perchè potrei non saperti seguire; non
camminarmi dietro, potrei non saperti guidare, ma camminami accanto e
probabilmente diventeremo amici". La chiesa dovrebbe scoprire questa
dimensione, quella della compagnia; quando si diventa prossimi alla vita
dell'altro, quando si vive questa prossimità (che è profondamente
reciprocità), quando si scopre l'altro come valore, al di là di tutto scatta
la responsabilità. Quando inizi a indossare i panni degli altri, a entrare in
una dimensione di incontro e relazione con l'altro a un certo livello, ti devi
spogliare delle tue sicurezze, delle tue certezze; e questo a qualsiasi
realtà istituzionale. Questo Dio si sta grattando il capo rispetto a quello
che ha proposto come sogno per l'umanità.
Nella Bibbia c'è un episodio dell'Esodo; c'è una figura straordinaria, quella
di Mosè, che rispolvera le sue origini e ritrova le sfumature della sua
esistenza. Mosè era ebreo, cresce alla corte del faraone, sotto le ali
della chioccia (che è la chiesa), cresce secondo certe logiche, si legge
la storia degli uomini dalla parte di chi non varca mai la soglia, di chi
sta dentro la reggia, dentro la fortezza, dalla parte del potere. Mosè
diventa
egiziano, ma ad un certo punto, nell'uscire fuori dalla sua fortezza,
sente dentro di sè le sue origini; quando vede l'egiziano opprimere
l'ebreo, reagisce e uccide l'egiziano.
E' buffo che in un contesto di pace io prenda un episodio di violenza, ma
è per dire che in quella violenza ci sta l'inquietudine pura che comincia
a nascere dentro a Mosè, la sete di futuro di quell'uomo. Egli scopre che c'è
dell'altro oltre a quello che gli era stato insegnato e con cui era cresciuto.
Così reagisce in quel modo; come tutti gli uomini puri, dopo avere vissuto
quel gesto terribile scappa, ha paura come ognuno di noi
quando mette un piede fuori dal suo recinto. A un certo punto, uno parte
con entusiasmo, poi scappa, fugge e va a Madian, dove viene accolto; qui Mosè ridisegna
la sua vita secondo lo standard, lo status quo del tempo. Diventa pastore, si
sposa e organizza la sua esistenza.
In questa situazione, mentre Mosè pascola il gregge, succede qualcosa
di particolare, cioè vede un roveto che brucia e non si consuma
[legge il passo biblico]
Tutte le più grandi azioni degli uomini, nella Bibbia, nascono da una domanda;
Dio stesso legge la storia degli uomini attraverso due domande, due domande
epocali su cui ognuno di noi dovrebbe basare la sua esistenza. Qui la domanda
è:"perchè il roveto non brucia?"; è una domanda che ha il sapore
della curiosità, non è ancora il sentimento profondo di uscire verso qualcosa.
Dice la Bibbia:
"il Signore vide che s'era avvicinato per vedere e Dio lo chiamò, dal roveto,
e disse:
- Mosè, Mosè-;e lui rispose:-eccomi!-;e Dio:-Non avvicinarti, togliti i
sandali dai piedi, perchè il luogo sul
quale tu stai è una terra santa-"
Io credo che l'unica chiesa possibile sia una chiesa che sappia togliersi
i sandali dai piedi e che sia capace di svuotare la sua storia da tutti
i pregiudizi, positivi e negativi, che può avere su se stessa e sugli altri.
Dobbiamo considerare che la chiesa non è quello a cui vogliamo arrivare ma il
cammino che stiamo facendo. "Togliti i sandali dai piedi perchè il terreno che
stai calpestando è terra santa": se tieni gli occhi puntati
verso quel roveto che brucia e non si consuma, verso la cosa
somma, esaltandola come punto cui vuoi arrivare, se è l'unica cosa cui tu
vuoi arrivare, allora rischierai di fare poi a botte con gli altri
per raggiungerla; sarai un caterpillar ma non sarai capace di considerare
lo spazio che c'è tra te e quella cosa, quel caso come concretezza di vita
e come luogo già santo e sacro. Questo è il cammino alla ricerca della verità
e per farlo bisogna togliersi i sandali dai piedi (che tradotto significa che
bisogna essere capaci di spogliarsi, mettersi a nudo). Questo è quello che fa
Gesù Cristo. C'è una parola greca, intraducibile:"kenosi", cioè
abbassamento, spogliazione di Gesù Cristo, questo cedere la sua onnipotenza e
mettersi in gioco fino in fondo.
La chiesa dev'essere così, dobbiamo chiederlo profondamente; non dobbiamo
permettere che essa diventi il luogo dove ci si arrocca in una verità che
diventa senz'anima.
Quante soglie da varcare per entrare in chiesa; quante celebrazioni senza
vita... Una volta vivevo in una parrocchia, all'inizio del mio esser prete,
classica, in una zona buona e bella della città (vicino alla Certosa) e in
un'omelia, diventata poi la causa del mio spostamento nel quartiere "le
Piagge", dissi:"Noi saremo veramente comunità quando riusciremo a prendere un
martello tra le mani e iniziare ad abbattere le mura di questo edificio e
saremo capaci di celebrare questa vita dentro la storia umana". E'
una provocazione, che serve a riflettere. Non ho la pretesa di avere tra le
mani la verità ma domandiamoci:"accetto io questa domanda?", "Nel momento in
cui mi verranno tolte le mie sicurezze, i miei spazi, i miei luoghi
deputati alla sacralità, io mi sentirò più perso o più uomo?", quando qualche
prete o qualche realtà o questa parola mi metterà l'amore per il dubbio,
allora
troverò la fede.
Non so se faccio bene ad andare in chiesa, ma non è questo importante;
è importante coltivare il seme della spiritualità dentro di noi; se
qualcuno di voi volterà le spalle alla chiesa, non si preoccupi, ma che questo
voltar
le spalle non sia rivolto a tutto quello che è il rapporto e la relazione con
l'altro e con l'altra, col profondo e col mistero di ognuno di noi; quello è
il sale della terra, il lievito, la luce! Abbandonate pure la chiesa.
La nostra è una comunità di base, non abbiamo chiesa: celebriamo all'aperto da
8 anni e in un prefabbricato che abbiamo chiamato "Centro Sociale", che
è scuola la mattina, redazione del giornale il dopocena, luogo di
incontro, sede dei gruppi di lavoro che fanno giardinaggio e riciclaggio,
luogo di pianti, di bestemmie, di fatica e che alla domenica diventa luogo
della celebrazione. Per essere chiesa davvero, la nostra comunità deve
imparare a spogliarsi della propria religiosità e cominciare a cercare la
fede.
Spogliamoci di questo apparato religioso, di un qualcosa che ci viene buttato
addosso e che non ci permette di danzare la vita. Gesù Cristo ci chiede questo
nel Vangelo, è il suo sogno voler comunità liberate da questa religiosità
senz'anima, fittizia, senza cuore, senza vita, superba, presuntuosa e che
serve soltanto a benedire la situazione esistente, lo status quo. La nostra
chiesa è funzionale a questo sistema di morti. In Brasile vi sono tantissime
chiesupole di tutti i tipi, foraggiate e pagate dalle grandi multinazionali e
da grandi centri di potere, anche politici, spesso statunitensi, perchè sanno
che una chiesa che vive imbonendo le persone, che costruisce una serie di
apparati e di codici di comportamento, che diventa un'agenzia di morale più
che una spinta verso la vita, la fede e la ricerca di se stessi, è una chiesa
che fa comodo.
Avete visto qualche povero nelle nostre chiese, se non per
chiedere l'elemosina fuori?
Avete visto davvero persone che vivono impoverite di questa storia, di questa
terra, che esistono nel nord del mondo, abitare le nostre chiese?
O considerate il Vangelo uno stimolo, spinta per cercare di costruire
un percorso di liberazione per se stessi e per gli altri?
Noi dobbiamo essere capaci di stare dentro le situazioni, di abbattere tutti i
muri che rischiano di separarci. Cosa succede quando Gesù Cristo muore
in croce? Il Vangelo usa un'espressione straordinaria: "e il velo del tempio
si squarciò nel mezzo". Il velo del tempio era il luogo dove poteva
entrare solo il sacerdote, lo spazio sacro per eccellenza che ricordava la
sacra tenda dell'Esodo. Con la morte di Gesù il velo del tempio si squarciò
nel mezzo, non c'è più niente che separi Dio dall'uomo e non possono
più esistere chiese che vivono questa separazione, che fanno di quel Dio
un pretesto per separarsi e per acquisire potere. Credo che un modo per
vivere la chiesa potrebbe essere rileggere Lazzaro (Vangelo di Giovanni); in
questo episodio bellissimo, Gesù piange e fa la "figura del coglione" perchè
quando le sorelle di Lazzaro gli corrono incontro lui dice: "Lazzaro non è
morto, io sono la resurrezione e la vita". Chiede: "Credi tu questo?" e
subito dopo, di fronte all'amico morto, Gesù piange. Ma mi vorrei soffermare
sulla parte finale, quando Gesù usa 3 espressioni che io vorrei offrirvi come
3 modi per rileggere voi stessi rispetto alla chiesa, la chiesa rispetto a
se stessa e rispetto all'uomo.
[lettura del Vangelo di Giovanni 11,38-44]
Le 3 espressioni sono:
"Togliete la pietra!",
"Lazzaro vieni fuori" e
"Scioglietelo e lasciatelo andare".
Se la chiesa è il sogno di Dio per la storia umana e se noi pensiamo a
quel sogno di Dio che ognuno ha dentro di sè e a quel sogno umano che ha
dentro di sè, queste sono 3 indicazioni fortissime, necessarie.
La prima è "Togliete la pietra!": i nostri, spesso, sono sogni
sommersi, schiacciati, umiliati, incrostati, chiusi, affiorano ogni tanto con
quella legge della compensazione (l'ultimo dell'anno, lo sballo) quasi come
se
ognuno di noi avesse bisogno di vivere in maniera irreale, illusoria
quel sogno che rimane soffocato. Lì c'è una pietra pesante, dove bisogna
chiedere a noi stessi e alle nostre chiese, alle nostre comunità di togliere
la pietra. A volte la pietra la mettiamo noi, a volte la mette chi gestisce
la nostra vita sopra ai nostri sogni. Bisogna togliere la pietra dei
falsi moralismi, dei moralismi pesanti, dei sensi di colpa: cose che
ci impediscono di leggere quel sogno e di svelare l'uomo inedito che c'è
dentro ognuno di noi, l'uomo "absconditus", nascosto.
Ma togliere la pietra non basta, perchè uno potrebbe dire di aver tolto
la pietra però poi se la vive da solo, nella sua comunità e fa il suo cenacolino.
Tante parrocchie sono molto vive, molto belle, ma rimangono
dentro se stesse e se fanno qualcosa lo fanno per gli altri, ed è troppo poco.
Infatti, "per gli altri" è sempre una visione molto "maestrocentrica" della
vita; non devo fare qualcosa per gli altri, ma "con gli altri". Non
basta essere per i poveri; quante parole si sprecano per i poveri.
Quante belle azioni ci fanno bene, solo a noi stessi!
Non prendete ciò che dico come verità assoluta
ma come sassolini che a cerchi concentrici cercano di
smuovere un po' il mare dei vostri pensieri. Togliere la pietra ma poi
c'è questo rischio di dire che ci consideriamo persone aperte, libere e
ci crogioliamo in queste cose, ci mettiamo insieme e rischiamo di costruire
dei cenacoli e di accontentarci di stare bene. Pensiamo così di aver
raggiunto la verità, così può esserlo il GIM, la mia comunità e allora ecco
l'invito a Lazzaro. Nel Vangelo, le persone che non hanno la capacità di dare
delle risposte che abbiano un senso non hanno nome proprio. Qui invece Gesù
chiama "Lazzaro!" e chiama ognuno di noi a una responsabilità che è
soggettiva, cioè di ogni persona. E Gesù dice "Vieni fuori"; è ora che le
nostre chiese tolgano la pietra, e possono togliere la pietra per venire
fuori, per uscire allo scoperto, per mettersi in gioco. Soltanto così si potrà
essere segno di contraddizione, pietre di scandalo, solo così si potrà
incontrare l'altro e svelare la nostra verità. Se dovete fare delle cose, non
fatele in parrocchia, in comunità, fatele fuori con chi magari non crede
neanche all'acqua calda, mescolatevi; questo è il segreto più grande
dell'esistenza.
Che cosa si parla a fare l'arcobaleno addosso e le bandiere della pace;
i colori dell'arcobaleno sono la prima alleanza tra Dio e l'uomo, questo
arco ripropone alleanze, la relazione tra Dio e l'uomo. L'arcobaleno è fatto
di
colori diversi, in questa mescolanza nella convivialità e rispetto
delle differenze che dobbiamo regalare all'umanità. Che nessuno di voi abbia
un senso d'identità e di appartenenza forte, se questo vuol dire impedire
agli altri di entrare nella vostra storia o di contaminarsi con la vita o
la storia degli altri.
Uscire fuori vuol dire uscire fuori non a fare
le crociate, non a indurre l'altro a fare qualcosa, ma entrare dentro la
storia umana, a fare compagnia all'essre umano e imparare da questa storia.
Quindi c'è la terza espressione, che è "Scioglietelo e lasciatelo andare". S.
Agostino ha detto "Ama e fa ciò che vuoi" oppure nell'annunciazione
S. Gabriele disse "Nulla è impossibile a Dio "; la grandezza di Dio non sta
nel
fatto che nel momento in cui tu vieni fuori Lui ti trattiene, ma ti
lascia andare. Lasciarci andare a quel senso di tenerezza, di libertà
profonda, di considerazione dell'altro, di speranza; sciogliersi e lasciarsi
andare.
Succederà mai che nelle nostre liturgie ci lasceranno andare alla danza,
alla tenerezza, alla vita? C'è un'espressione che Alex Zanotelli usa sempre;
lui dice "c'è una cosa straordinaria dell'uomo africano che mi colpisce: la
sua "vitalogia", cioè logos della vita, il verbo della vita, questa capacità
di essere vivo fino in fondo, sciolto, libero". Dio propone un legame tra sè
e l'umanità, e questo crea comunque dei problemi, ma questo non vuol dire
che non vi possa essere libertà: la libertà di sentirsi sciolti, liberi.
Pensate alle nostre chiese, se una lei dà la mano a un lui cosa si potrà
pensare?
Noi siamo dei frustrati; già da appena si nasce vi è una libertà vincolata da
certe norme morali, moralismi che ci impediscono di essere quello che siamo.
In Italia 12 milioni di persone fanno uso di psicofarmaci e questo è
un segnale; vuol dire che c'è una debolezza e una frustrazione che abita
in ognuno di noi, che ci impedisce di scioglierci e di lasciarci
andare.
E questo spesso lo fanno la chiesa, i genitori, il mondo del lavoro,
la famiglia, i legami che creiamo. Dio si gratta la testa di fronte a questo
e le comunità dovrebbero essere il sapore più grande di questa capacità di
togliere la pietra, andare fuori, perdersi, mettersi in gioco e
sciogliersi, lasciarsi andare. Tutto questo diventa quindi capacità di amare,
di creder oltre ciò che si può credere e di stare dalla parte di chi questa
possibilità non ce l'ha.
Concludo con uno scritto di Martino Morganti, francescano morto due anni
fa, sospeso "a divinis". Questo è un testo affrontato anche alle Piagge, e
poi in 6 mesi di "scrittura collettiva" una comunità di perdenti, ma non
perduti ha scritto una lettera, che è il racconto di quello che siamo come
comunità.
Abbiamo usato alcuni testi ed è stato molto difficile. Nella mia comunità
1 ragazzo su 10 finisce le superiori, 2 ragazzi su 10 non arrivano alla
terza media, 10 ragazzi su 10 fanno uso di sostanze stupefacenti, 1 donna su
2 beve, ma in queste persone (tanto "negative") c'è il volto dell'altro
che permette di riconoscermi e iniziare a capire chi sono. Vi voglio
quindi leggere questo racconto, che è come una domanda che lui in silenzio si
fa e che vi vorrei regalare. Lui, uomo che non viveva più in parrocchia,
non faceva più la messa, ma un momento particolare di comunione; viene
invitato in Puglia da una parrocchia a fare triduo pasquale, così si
ritrova immerso di nuovo in una situazione parrocchiale e si meraviglia del
fatto che questa parrocchia era bella e lui ci si trovava bene. Per questo si
chiede se stesse cambiando lui, essendo diventato un prete o se stesse
cambiando qualcosa all'interno della chiesa " in questa parrocchia ho
vissuto prevalentemente momenti liturgici, quindi di parrocchia; eppure mi
è sembrata prevalere la bellezza in parrocchia, su quella di parrocchia.
Anche negli stessi riti di preghiera e docili a continuare a incrementare
la tessitura di rapporti, relazione, incontro". Credo allunghi la fila
dei preti che si collocano più sul versante della costruzione e
ricostruzione della vita, che su quello della salvezza delle anime. Anche lui,
o prima di tutto lui, più "in" che "di" parrocchia. Ma se è bellezza più "in"
che "di" parrocchia, come si colloca rispetto alle altre parrocchie, e in
definitiva nel contesto diocesano ed ecclesiale? Ho il sospetto che questa
parrocchia non ecceda in allineamento e che dal centro si misuri la sua
distanza e difformità dal modello voluto. E' troppo sensibile al locale e
alle variabili umane per essere disponibile a pianificazioni esterne
e predefinite; sarei tentato di dire che la sua obbedienza alla base
attenua la sua obbedienza ai vertici! La bellezza in parrocchia arriva così
a relativizzare il dentro e il fuori, non ovviamente il consulto dentro
e fuori la chiesa, teologicamente improponibile, come è
teologicamente improponibile qualcuno che abbia l'autorità di stabilire dove
la chiesa finisca e dove inizi la non-chiesa ma semplicemente lo stare o non
delle attuali strutture ecclesiastiche.
Alessandro Santoro
Povero Dio tirato in ballo dagli uomini, ma che religioni, sono questioni da economi, questi omini minimizzano rombi di bolidi, boom, fanno sempre i loro porci comodi, nel nome del Padre figli che si fanno invalidi, senti solo alibi squallidi, danno ragione solamente a visi pallidi, quelli diversi riversi ed esanimi. Partono plotoni di uomini di uomini, verso postazioni di uomini di uomini, aggressori con volti di uomini di uomini, aggrediscono figli di uomini di uomini, in un circo massimo di uomini di uomini, nell'Anno Domini di uomini di uomini, subiamo il fascino di uomini di uomini, come ninfomani di uomini di uomini. Non vengo con te nel deserto, scusami se diserto ma preferisco... Io preferisco ammazzare il tempo, preferisco sparare cazzate, preferisco fare esplodere una moda, preferisco morire d'amore, preferisco caricare la sveglia, preferisco puntare alla roulette, preferisco il fuoco di un obiettivo, preferisco che tu rimanga vivo. Gli uomini versano il tributo di nostalgie per epoche che mai hanno vissuto la bandiera e il saluto, o con noi o stai muto, questo è il terzo millennio, benvenuto! Chiedo aiuto a Newton, Isacco, come cacchio si fa a sopportare fatti di 'sta gravità? Anacronistica, la verità che viene a galla, esperto di balistica misurami 'sta balla e seguimi in questo viaggio tra santi e demoni, che invece sono solo uomini di uomini, tu che sei forte, alla morte sopravvivimi, io sono debole quindi l'anima minami, caro paese dalle belle pretese chiedimi se ti vedo come friend o come enemy, ti piace fare la pace ma allora spiegami 'sti missili che fischiano nell'aria come un theremin. Non vengo con te nel deserto, scusami se diserto ma preferisco... Io preferisco ammazzare il tempo, preferisco sparare cazzate, preferisco fare esplodere una moda, preferisco morire d'amore, preferisco caricare la sveglia, preferisco puntare alla roulette, preferisco il fuoco di un obiettivo, preferisco che tu rimanga vivo. Partono plotoni di uomini di uomini, verso postazioni di uomini di uomini, aggressori con volti di uomini di uomini, aggrediscono figli di uomini di uomini, in un circo massimo di uomini di uomini, nell'Anno Domini di uomini di uomini, subiamo il fascino di uomini di uomini, come ninfomani di uomini si ma... Io preferisco ammazzare il tempo, preferisco sparare cazzate, preferisco fare esplodere una moda, preferisco morire d'amore, preferisco caricare la sveglia, preferisco puntare alla roulette, preferisco il fuoco di un obiettivo, preferisco che tu rimanga vivo.
Follie preferenziali (Verità supposte - 2003) - Caparezza